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SOCIETA’ – NUOVI OBBLIGHI PUBBLICITARI IMPOSTI DALLA LEGGE COMUNITARIA 2008
REGISTRO DELLE IMPRESE MULTILINGUE


Al fine di recepire la Direttiva 2003/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 luglio 2003, che modifica la direttiva 68/151/CEE del Consiglio per quanto riguarda i requisiti di pubblicità di taluni tipi di società, l’articolo 42 della legge 7 luglio 2009, n. 88 (Legge comunitaria 2008) – in vigore dal 29 luglio 2009 – ha apportato modifiche agli articoli 2250 (Indicazione negli atti e nella corrispondenza) e 2630 (Omessa esecuzione di denunce, comunicazioni o depositi) del Codice Civile.

La nuova norma introduce importanti innovazioni sulla pubblicità di specifiche informazioni negli atti e nella corrispondenza (ad es. fatture, contratti, lettere, ordinativi ecc.) delle società (sia di persone che di capitali). In particolare:
• scatta l'obbligo, per le sole società di capitali, di pubblicare tali informazioni anche nei siti web delle società;
• prevista l'applicazione di pesanti sanzioni amministrative in caso di inadempimento;
• prevista, inoltre, la facoltà di pubblicare nel Registro delle imprese atti in altra lingua della Comunità europea
.


I. RIFERIMENTI NORMATIVI

Art. 2250 - Indicazione negli atti e nella corrispondenza.
[1] Negli atti e nella corrispondenza delle società soggette all’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese devono essere indicati la sede della società e l’ufficio del registro delle imprese presso il quale questa è iscritta e il numero di iscrizione.
[2] Il capitale delle società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata deve essere negli atti e nella corrispondenza indicato secondo la somma effettivamente versata e quale risulta esistente dall’ultimo bilancio.
[3] Dopo lo scioglimento delle società previste dal primo comma deve essere espressamente indicato negli atti e nella corrispondenza che la società è in liquidazione.
[4] Negli atti e nella corrispondenza delle società per azioni ed a responsabilità limitata deve essere indicato se queste hanno un unico socio.

Dopo il comma 4, vengono aggiunti i seguenti commi:
[4-bis] Gli atti delle società costituite secondo uno dei tipi regolati nei capi V, VI e VII del presente titolo, per i quali è obbligatoria l’iscrizione o il deposito, possono essere altresì pubblicati in apposita sezione del registro delle imprese in altra lingua ufficiale delle Comunità europee, con traduzione giurata di un esperto.
[4-ter] In caso di discordanza con gli atti pubblicati in lingua italiana, quelli pubblicati in altra lingua ai sensi del quinto comma non possono essere opposti ai terzi, ma questi possono avvalersene, salvo che la società dimostri che essi erano a conoscenza della loro versione in lingua italiana.
[4-quater] Le società di cui al quinto comma che dispongono di uno spazio elettronico destinato alla comunicazione collegato ad una rete telematica ad accesso pubblico forniscono, attraverso tale mezzo, tutte le informazioni di cui al primo, secondo, terzo e quarto comma.


All’articolo 2630 sono state aggiunte le parole riportate tra parentesi:
Art. 2630 - Omessa esecuzione di denunce, comunicazioni o depositi.
1. Chiunque, essendovi tenuto per legge a causa delle funzioni rivestite in una società o in un consorzio, omette di eseguire, nei termini prescritti, denunce, comunicazioni o depositi presso il registro delle imprese [, ovvero omette di fornire negli atti, nella corrispondenza e nella rete telematica le informazioni prescritte dall’articolo 2250, primo, secondo, terzo e quarto comma,] è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 206 euro a 2.065 euro. Se si tratta di omesso deposito dei bilanci, la sanzione amministrativa pecuniaria è aumentata di un terzo.


II. LE MODIFICHE ALL'ARTICOLO 2250 CODICE CIVILE E I NUOVI OBBLIGHI PUBBLICITARI PREVISTI PER LE SOCIETA'

A. Informazioni oggetto di pubblicità negli atti e nella corrispondenza delle società

Le informazioni oggetto di pubblicità negli atti e nella corrispondenza delle società, che riguarderanno sia le società di persone che le società di capitali, sono:
1) la sede della società, il numero di iscrizione e l'ufficio del registro delle imprese ove è iscritta (per tutte le tipologie di società);
2) il capitale effettivamente versato e quale risulta esistente dall'ultimo bilancio (per le società di capitali);
3) lo stato di liquidazione della società a seguito dello scioglimento (per tutte le tipologie di società);
4) lo stato di società con unico socio (per le s.p.a e le s.r.l. "unipersonali").


B. La novità della pubblicazione sul sito web

Viene inoltre introdotto un nuovo obbligo (ma solo per le società di capitali) di pubblicare tali informazioni anche nei siti web delle società.


C. Registro delle imprese "multilingue"

Per le società di capitali (S.r.l, S.p.A. e S.a.p.A) viene introdotta la facoltà di pubblicare gli atti per i quali è prevista l'iscrizione o il deposito in apposita sezione del Registro delle imprese, anche in altra lingua ufficiale delle Comunità europee con traduzione giurata di un esperto.
In caso di discordanza con gli atti pubblicati in lingua italiana, quelli pubblicati in altra lingua non possono essere opposti ai terzi, ma questi possono avvalersene, salvo che la società dimostri che essi erano a conoscenza della loro versione in lingua italiana.


III. LE MODIFICHE ALL'ARTICOLO 2630 CODICE CIVILE E LE SANZIONI PREVISTE PER LE INADEMPIENZE PUBBLICITARIE

A decorrere dal 29 luglio 2009, le società (sia di persone che di capitali) che non ottemperano alla pubblicazione delle citate informazioni negli atti e nella corrispondenza compreso - solo per le società di capitali - il sito web, incorrono in sanzioni piuttosto pesanti.
La nuova legge prevede, infatti, l'applicazione delle sanzioni già previste dall'articolo 2630 C.C. per l'omessa o ritardata pubblicazione di atti al Registro delle imprese.
La sanzione amministrativa pecuniaria va da un minimo di 206,00 ad un massimo di 2.065,00 euro da applicare, di regola, per ciascun componente dell'organo di amministrazione.


IL TRASFERIMENTO DELLA SEDE LEGALE ALL’INTERNO DELLO STESSO COMUNE o ALL’ESTERO

A. IL TRASFERIMENTO ALL’INTERNO DELLO STESSO COMUNE

Disposizioni per le società di capitali e cooperative

Secondo quanto stabilito negli articoli 2328, comma 2, n. 2 (relativamente alla Spa); 2462, comma 2, n. 2 (relativamente alla Srl), 2521, comma 3, n. 2 (relativamente alla società Cooperativa), del Codice Civile, dall’atto costitutivo deve risultare “il comune ove sono poste la sede della società e le eventuali sedi secondarie”.
Dunque, a partire dal 1° gennaio 2004, data di entrata in vigore della riforma del diritto societario, nell’atto costitutivo non è più obbligatorio indicare l’indirizzo completo della sede sociale (via e numero civico), ma è sufficiente indicare solamente il Comune.
L’articolo 111-ter delle disposizioni di attuazione e transitorie del Codice Civile dispone, inoltre, che, al momento della iscrizione presso il Registro delle imprese dell'atto costitutivo di una società, nella domanda deve essere indicato l'indirizzo, comprensivo della via e del numero civico, ove è posta la sede legale.
In caso di successiva modificazione di tale indirizzo è sufficiente che gli amministratori ne facciano apposita comunicazione al Registro delle imprese.
Dunque, l’ubicazione precisa e completa della sede sociale, con l’individuazione della via e del numero civico, dovrà essere obbligatoriamente riportata nella modulistica della Camera di Commercio per la pubblicità nel Registro delle imprese.
Coordinando la normativa appena citata si ricava quanto segue:
a) gli eventuali mutamenti di indirizzo nell’ambito del medesimo Comune non saranno più materia di modificazioni statutarie, ma sarà sufficiente che gli stessi siano comunicati dagli amministratori al Registro delle imprese con un’apposita denuncia (utilizzando il modello S2 attraverso Fedra o simili), da inviare telematicamente;
b) gli eventuali trasferimenti di sede nell’ambito di altro Comune sarà invece da considerarsi modifica dello statuto o dei patti sociali, da redigersi quindi con apposito atto notarile
.

Tuttavia, nulla vieta che nell’atto costitutivo e nello statuto o nei patti sociali venga riportato l’indirizzo completo (Comune, Via e numero civico). In questo caso, ogni variazione dell’indirizzo della sede comporterà una modifica statutaria, da redigersi con apposito atto notarile.
Questo vale anche per quelle società che a tutt’oggi non abbiano ancora adeguato il proprio statuto e che, pertanto, riportino tuttora nello statuto o nei patti sociali l’indirizzo completo della sede legale.

E’ bene tener presente che per la comunicazione relativa al trasferimento della sede all’interno del medesimo Comune, da inviare al Registro delle imprese, non viene indicato alcun termine entro cui provvedere e, pertanto, non potrà essere in ogni caso assoggettata ad alcuna sanzione amministrativa.

L’argomento è stato recentemente trattato anche dalla Fondazione Luca Pacioli nel documento n. 30 del 18 novembre 2005.

Se sei interessato a scaricare il documento, clicca QUI


Disposizioni per le società di persone

Ci si è chiesti se le disposizioni dettate dalla nuova riforma per le società di capitali e società cooperative tornino applicabili anche per le società di persone (SNC e SAS).
Dopo i primi dubbi, dovuti al fatto che la riforma riguarda solamente le società di capitali e le società cooperative, sembra ora pacificamente accettato che tale normativa sia applicabile anche alle società di persone, nella considerazione che le disposizioni di attuazione e transitorie sono state dettate non con riguardo alle sole società di capitali o cooperative ma che le stesse si riferiscono alla Sezione V, del Libro V, del Codice Civile, all’interno della quale sono ricomprese anche le società di persone.
Pertanto, anche nel caso delle società di persone valgono le medesime disposizioni e modalità operative nei confronti del Registro delle imprese riportare per gli altri tipi di società.

L’argomento è stato trattato approfonditamente dalla Commissione Studi del Consiglio Nazionale del Notariato nel documento n. 5226, approvato l 2 luglio 2004.

Se sei interessato a scaricare il documento, clicca QUI.


B. IL TRASFERIMENTO DELLA SEDE SOCIALE ITALIANA ALL’ESTERO

Bisogna subito evidenziare che il Codice civile tratta solo indirettamente del trasferimento della sede all’estero, in due soli articoli: l’articolo 2369, rubricato “Seconda convocazione e convocazione successive”, nel quale si rafforza il quorum necessario a più di un terzo del capitale sociale, anche in seconda convocazione, per le deliberazioni concernenti il trasferimento della sede sociale all’estero, e l’articolo 2437, rubricato “Diritto di recesso”, nel quale si statuisce il diritto di recesso del socio nel caso di trasferimento della sede in altro Stato.
Per cui è necessario ricorrere alla giurisprudenza, la quale, a tale proposito, ha assunto le seguenti posizioni:
1) È illegittimo la deliberazione che, a seguito del trasferimento all'estero della sede sociale, stabilisce di trasformare la società italiana si trasformi in un tipo societario diverso da quelli regolati dall'ordinamento nazionale (Tribunale di Alessandria, decreto 18 agosto 1995; Tribunale di Torino, decreto 1 dicembre 1995).

2) Il trasferimento della sede sociale all’estero, pure legittimo, non può determinare la perdita della nazionalità italiana e quindi il venir meno degli obblighi e dei controlli previsti dall’ordinamento italiano sulla vita delle società di capitali. La società deve pertanto rimanere iscritta nel competente Registro delle imprese italiano e rimane soggetta, anche per il futuro, alla iscrizione, al deposito e alla pubblicità degli atti previsti dalla legge italiana. (Tribunale di Verona, decreto del 5 dicembre 1996).

3) E’ ammissibile il trasferimento all’estero della sede di una società costituita in Italia, ai sensi dell’art. 25, comma terzo, legge n. 218 del 1995.
La società trasferita all’estero continua ad essere regolata dalla legge italiana. (Tribunale di Udine, decreto del 8 dicembre 1997).

4) La delibera di trasferimento della sede sociale all’estero che comporti la perdita della nazionalità italiana si configura – a tutti gli effetti, ed in particolare rispetto alla previsione dell’art. 25, comma 2, lettera c), della legge n. 218/1995 – quale vera e propria estinzione della società; dal punto di vista dell’ordinamento giuridico italiano infatti, tale "denazionalizzazione" avrebbe implicazioni ancor più drastiche e trancianti rispetto alle ordinarie ipotesi di scioglimento e di liquidazione di cui agli artt.2448 e ss. c.c., considerando ad esempio come la conseguente cancellazione della società – siccome non preceduta dalla procedura di liquidazione – renderebbe inoperante, tra l’altro, la garanzia a favore dei creditori prevista dall’art. 2456, comma 2, c.c. (Appello Trieste, decreto del 9 ottobre 1999).

Si considera comunque che il trasferimento della sede di una società italiana all’estero, previsto negli articoli 2369, comma 5 e 2437, comma 1, lett. c, C.C., determina per la società il mantenimento della legge italiana, quale disciplina applicabile, ai sensi dell’articolo 25 della Legge 218/1995, non essendo ipotizzabile, in caso di trasferimento di sede all’estero da parte di una società italiana, una delibera che elimini ogni rapporto con lo Stato Italiano, perché si creerebbe un’ulteriore ipotesi di estinzione della società al di fuori dei casi previsti dal Codice.


ESCLUSIONE DELL’UNICO SOCIO ACCOMANDATARIO – SOCI ESPULSI A MAGGIORANZA
SOCIO ACCOMANDANTE AMMINISTRATORE PROVVISORIO


1. ESCLUSIONE DELL'UNICO SOCIO ACCOMANDATARIO

Il procedimento di esclusione di un socio nella società in accomandita semplice è regolato dalla disciplina prevista per le società in nome collettivo. In particolare, se uno solo è il socio accomandatario e più sono gli accomandanti, questi ultimi possono deliberarne l’esclusione a maggioranza: non si conteggia infatti nel numero il socio da escludere e non è necessario ricorrere all’intervento del Tribunale nel caso di società costituita di due soli soci (art. 2287, ultimo comma, C.C.).
A precisare le regole è la Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 27504 della Prima Sezione Civile, depositata il 22 dicembre 2006.

La pronuncia è intervenuta sul caso sollevato dall’ex socio accomandatario di una Sas che aveva chiesto al Tribunale di Roma di annullare la delibera con cui gli altri tre soci accomandanti lo avevano escluso dalla società.
Il giudizio di primo grado si era concluso in maniera sfavorevole al socio estromesso; pronuncia poi confermata dalla Corte d’appello.
Il caso arriva alla Corte di Cassazione, la quale respinge il ricorso e avalla la linea dei giudici di merito.

La Corte di cassazione respinge il ricorso ritenendo, innanzitutto, che l’art. 2287 c.c. prevede che l’esclusione del socio può essere deliberata dalla maggioranza dei soci restanti, salva la possibilità per il socio escluso di proporre opposizione avverso tale delibera entro trenta giorni dalla comunicazione di questa.
La disposizione di cui al terzo comma dell’articolo appena citato si riferisce, al contrario, unicamente all’ipotesi di società composta da due soli soci, in cui è necessario che l’esclusione sia disposta giudizialmente.
Tale disposizione è di stretta interpretazione e non può applicarsi in ipotesi, quale quella decisa, in cui nella società si contrappongano due distinti centri di interesse (così Cass. civ., 10 gennaio 1998, n. 153 e, di recente, Cass. civ., 19 settembre 2006, n. 20255), anche perché risulta del tutto erroneo ed infondato configurare i soci accomandatari e i soci accomandanti come due distinti ed omogenei centri di interesse.
La Corte ritiene, dunque, applicabile la disciplina di cui agli artt. 2286 e 2287 C.C. che prevede, in caso di gravi inadempienze del socio, l’esclusione dello stesso deliberata a maggioranza dei soci, non computando nel relativo numero il socio da escludere.
In tal senso depone l’art. 2315 c.c. che rinvia alla disciplina in tema di società in nome collettivo (e, dunque, per il rinvio operato dall’art. 2293 C.C., anche a quella della società semplice), rinvio subordinato alla verifica di compatibilità tra detta disciplina e quella della società in accomandita semplice.
Nessuna incompatibilità è, peraltro, riscontrabile tra dette disposizioni e la disciplina in materia di società in accomandita semplice, neppure nel caso in cui sia da escludere l’unico socio accomandatario, atteso che tale decisione è diretto corollario del potere di controllo dei soci accomandanti (Cass. civ., 29 novembre 2001, 15197).
Non vale, inoltre, per la Suprema corte il richiamo all’art. 2319 c.c. perché essa è disposizione che riguarda appunto la revoca per giusta causa dell’amministratore nominato con atto separato e non l’esclusione dei soci.
Pertanto, l’esclusione del socio è disciplinata unicamente dalle norme di cui agli artt. 2286 e 2287 C.C. che niente hanno a che fare con la disposizione in tema di revoca che, in aggiunta, non incide sulla permanenza del rapporto sociale.
La corte ricorda, poi, che la decisione di escludere un socio non viola il divieto di cui all’art. 2320, primo comma, C.C., poiché la stessa attiene alla struttura dell’ente e non alla sua gestione.
Osservano, infine, i giudici che l’esclusione dell’unico socio accomandatario non determina ipotesi di scioglimento della società, effetto questo che si verifica soltanto nell’ipotesi in cui nel termine di sei mesi dall’esclusione non si sia provveduto alla sostituzione dell’accomandatario stesso.

Si riporta il testo della Sentenza:
. CASSAZIONE CIVILE – Sentenza n. 27504, depositata il 22 dicembre 2006 – Esclusione dell’unico socio accomandatario (Pres. De Musis, Rel. Rordorf).


2. SOCIO ACCOMANDANTE - Possibile la nomina ad amministratore provvisorio - Rigettata la richiesta avanzata dall’ufficio di cancellazione dell’iscrizione dal Registro delle imprese

La nomina ad amministratore provvisorio del socio accomandante ha natura eccezionale e cautelare e deve ritenersi possibile in ragione della doppia limitazione che la legge pone all'amministratore provvisorio medesimo: limitazione temporale, in primo luogo, essendo la sua attività destinata a concludersi in un periodo predefinito (entro l'orizzonte del semestre) e limitazione dei poteri, sotto altro profilo, essendo l'amministrazione provvisoria destinata ad avere ad oggetto esclusivamente l'ordinaria amministrazione della società.
Al riguardo va precisato che ove l'accomandante-amministratore provvisorio non limitasse la propria attività alla sola ordinaria amministrazione, tornerebbe ad applicarsi la norma generale secondo la quale il socio accomandante che contravviene al divieto di immistione assume la responsabilità illimitata e solidale per tutte le obbligazioni sociali e può essere finanche escluso dalla società.
E’ la posizione del Tribunale di Roma - Ufficio del Giudice del registro delle imprese tenuto dalla Camera di commercio di Roma – Decreto di rigetto n. cronol. 964/2020 del 13 febbraio 2020 - RG n. 12352/2018.

Il fatto. Con domanda, un notaio richiedeva l’iscrizione, nel Registro delle Imprese, della nomina del socio accomandante alla carica di amministratore provvisorio della società in oggetto, stante il decesso del socio accomandatario, unico socio amministratore.
La procedura di iscrizione - dapprima sospesa dall’ufficio sulla base del presupposto che il socio accomandante non può assumere la carica di amministratore provvisorio, stante l’incompatibilità della qualifica di socio accomandante con gli adempimenti gestori che la carica di amministratore provvisorio comporta - è stata poi eseguita alla luce della previsione contenuta nell’art. 20, comma 7-bis del D.L. 91/2014, convertito nella L. 116/2014.
L’ufficio del Registro delle imprese chiede al Giudice del registro di disporre la cancellazione dell’iscrizione, eseguita nel Registro delle imprese, avente ad oggetto la nomina alla carica di amministratore provvisorio del socio accomandante, ritenendola illegittima.
L’ufficio del registro dubita, infatti, della legittimità della suddetta iscrizione evidenziando, in particolare, che il socio accomandante non può assumere la carica di amministratore provvisorio, stante l’incompatibilità della qualifica di socio accomandante con gli adempimenti gestori che la carica di amministratore provvisorio comporta ed evidenzia l’orientamento giurisprudenziale - fatto proprio, in passato, anche dal Giudice del registro di Roma (decr., 4 aprile 2014, nel proc. n. 17759/2013 r.g.) - secondo il quale l’art. 2323 c.c. esclude implicitamente la possibilità di riconoscere all’unico accomandante, ancorché superstite, la qualità di rappresentante della società per aver assunto, di fatto, la gestione sociale.
Il Giudice del registro ritiene che tale orientamento meriti una riconsiderazione e debba essere rivisto.

Va premesso – scrive il Giudice del Registro - che l’art. 2323 c.c. prevede che la società in accomandita semplice si scioglie, tra l’altro, quando rimangono soltanto soci accomandanti o soci accomandatari, sempreché nel termine di sei mesi non sia stato sostituito il socio che è venuto meno.
La citata disposizione codicistica ha poi cura di precisare, da un lato, che, se vengono a mancare tutti gli accomandatari, per il periodo indicato dal comma precedente, gli accomandanti nominano un amministratore provvisorio per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione e, dall’altro, che l’amministratore provvisorio non assume la qualità di socio accomandatario.
Come è evidente, l’articolo in esame è preordinato a garantire la prosecuzione della amministrazione della società nell’ipotesi in cui a venire meno sia la categoria degli accomandatari e tale finalità è soddisfatta attraverso la nomina di un amministratore provvisorio senza, però, che a detta nomina si ricolleghi l’assunzione della qualità di socio accomandatario e la relativa illimitata responsabilità per le obbligazioni sociali.
Ciò posto, si discute in dottrina ed in giurisprudenza se, in caso di sopravvenuta mancanza di tutti i soci accomandatari, possa essere nominato amministratore provvisorio un socio accomandante.

L’orientamento negativo fa leva sulla (assoluta) incompatibilità tra qualifica di accomandante e assunzione di funzioni gestorie nell’ambito della società.
Orientamento da non seguire anche perché, proprio l’art. 2323 c.c. introduce una -peraltro, parziale -deroga al divieto di immistione di cui all’art. 2320 c.c., deroga ammessa nella sola eccezionale ipotesi in cui la società sia rimasta senza accomandatari e con le limitazioni (temporali e contenutistiche) di cui si dirà immediatamente infra.
Dunque, già sul piano testuale, la norma di cui all’art. 2323 c.c. non esclude esplicitamente che l’accomandante possa essere nominato amministratore provvisorio, ciò potendo rispondere ad una reale esigenza operativa della società. D’altra parte, come osservato in dottrina, la stessa affermazione che l’amministratore provvisorio non assume la qualità di accomandatario ha un senso soltanto con riferimento all’accomandante che è nominato a tale carica.

Proprio l’eccezionalità della norma di cui all’art. 2323, secondo comma c.c. e le limitazioni ivi previste consentono di ravvisare una compatibilità con il sistema della nomina del socio accomandante ad amministratore provvisorio.
Infatti, l’intervento degli accomandanti con la nomina dell’amministratore provvisorio è chiaramente eccezionale ed ha natura cautelare: serve per fronteggiare una situazione non solo straordinaria, ma anche temporanea come chiaramente indicato dalla norma che delimita il periodo di amministrazione provvisoria nel termine di sei mesi. Se tale termine poi decorre inutilmente (senza la ricostituzione della pluralità delle categorie dei soci), l’amministratore provvisorio decade automaticamente al compimento del semestre, mentre lo scioglimento della società diviene operativo (di diritto) con la conseguenza che va aperta la liquidazione e nominato il liquidatore.
E va da sé che, ove l’accomandante-amministratore provvisorio non limitasse la propria attività alla sola ordinaria amministrazione, tornerebbe ad applicarsi la norma generale secondo la quale il socio accomandante che contravviene al divieto di immistione assume la responsabilità illimitata e solidale per tutte le obbligazioni sociali e può essere finanche escluso dalla società (art. 2320 c.c.).
Dunque, in conclusione, non esistendo motivi ostativi all’assunzione, da parte del socio accomandante, della qualifica di amministratore provvisorio, l’iscrizione della nomina alla carica di amministratore provvisorio, eseguita in conseguenza del decesso dell’unico socio accomandatario, è intervenuta nel concorso delle condizioni di legge e, quindi, non sussistono i presupposti di legge per procedere alla cancellazione d’ufficio dal registro delle imprese dell’iscrizione.

Si riporta il testo del decreto:
. TRIBUNALE DI ROMA - Ufficio del Giudice del registro delle imprese tenuto dalla Camera di commercio di Roma – Decreto di rigetto n. cronol. 964/2020 del 13 febbraio 2020 - RG n. 12352/2018.


AMMINISTRATORE PERSONA GIURIDICA DI SOCIETA’ DI CAPITALI

1. Ammissibilità e disciplina applicabile

Tra le nuove indicazioni della Commissione del Consiglio notarile di Milano emerge un orientamento di grandissimo rilievo che avalla la nomina nelle società di capitali di un amministratore che non sia una persona fisica.
E’ legittima la clausola statutaria di S.p.a. o S.r.l che preveda la possibilità di nominare alla carica di amministratore una o più persone giuridiche o enti diversi dalle persone fisiche (“amministratore persona giuridica”), salvi i limiti o i requisiti derivanti da specifiche disposizioni di legge per determinate tipologie di società.
La massima notarile (Massima n. 100), su questa materia che la legge non disciplina – secondo Angelo Busani (IlSole-24 Ore del 18 maggio 2007, pag. 37) – “non solo rappresenterà una pietra miliare nella elaborazione di questo argomento dalla quale non si potrà prescindere per l’autorevolezza della Commissione di esperti che l’ha firmata; ma soprattutto avrà l’effetto di sdoganare la naturale prudenza di tanti professionisti che, fino ad ora, in un clima di grande incertezza, avevano preferito non avventurarsi in pratiche così innovative della prassi tradizionale e che potevano anche essere i sospetto di legittimità”.
La massima in questione ha una rilevante importanza anche perché non distingue tra SPA e SRL.
In precedenza, infatti, tra i pochi che ammettevano la legittimità della nomina ad amministratore di un soggetto diverso da una persona fisica, non esisteva unanimità di vedute: qualcuno la riteneva possibile solo per le SRL, altri la ritenevano possibile sia per le SRL che per le SPA.

Quali sono gli argomenti e gli spunti interpretativi che hanno indotto la Commissione notarile di Milano ad affermare, in linea di principio, l’ammissibilità dell’amministratore persona giuridica?
La configurazione di un amministratore persona giuridica di un altro ente collettivo è espressamente o implicitamente sancita nel nostro ordinamento nei confronti di diverse tipologie di enti collettivi, quali:
a) il GEIE (Gruppo Europeo di Interesse Economico (art. 5, D. Lgs. n. 240/1991);
b) le società di persone, nei confronti delle quali è ormai pacifico che l’amministrazione possa spettare anche a persone non fisiche, in virtù del combinato disposto degli articoli 2361, comma 2, del Codice civile e 111-duodecies delle disposizioni di attuazione del Codice civile;
c) la Società Europea, la cui disciplina afferma la possibilità di nominare quali amministratori anche le entità giuridiche diverse dalle persone fisiche (art. 47.1, regolamento CE n. 2157/2001).

In questo quadro – scrive il Notariato di Milano – pur nel silenzio delle norme del Codice Civile, “sembra sempre meno giustificabile la negazione della soluzione positiva solo per le società di capitali, o per alcuna di esse”.
In sintesi, sotto il profilo operativo, la massima fissa i seguenti principi:
1) la persona giuridica amministratrice deve designare un proprio rappresentante persona fisica, appartenente alla propria organizzazione, al fine di esercitare in concreto le funzioni amministrative nella società amministrata;
Il rappresentante persona fisica non necessariamente deve coincidere con il rappresentante legale della persona giuridica amministratore;
2) questa persona assume gli stessi obblighi e le stesse responsabilità civili e penali previsti a carico degli amministratori persone fisiche, ferma restando la responsabilità solidale della persona giuridica amministratore;
3) le formalità pubblicitarie relative alla nomina dell’amministratore sono eseguite nei confronti sia dell’amministratore persona giuridica che della persona fisica da essa designata;
4) la nomina della persona giuridica amministratrice non è possibile nelle società con azioni quotate in mercati regolamentati o nelle società operanti in settori soggetti a regolamentazione e vigilanza, con particolari prescrizioni nei confronti degli esponenti degli organi di amministrazione e controllo;
5) la persona giuridica amministratrice può essere una società italiana o straniera oppure un ente non societario italiano o straniero;
6) non è imprescindibile che, per la nomina di una persona giuridica amministratrice, lo statuto della società amministrata contenga una specifica clausola sull’amministratore persona giuridica.

Angelo Busani sostiene che è necessario approfondire il fatto circa la necessità della nomina di una (o più) persona fisica da parte della persona giuridica, anche perché potrebbe ipotizzarsi l’ipotesi che, in mancanza di tale nomina, le funzioni amministrative nella società amministrata possano essere svolte dall’organo amministrativo della società amministratrice.


2. L’aspetto pubblicitario

Al Registro delle imprese vanno depositate per l’iscrizione sia la deliberazione dell’assemblea della società amministrata che nomina l’amministratore persona giuridica, che la deliberazione dell’organo amministrativo dell’amministratore persona giuridica che designa la persona fisica.
Nel caso l’amministratore persona giuridica sia una società straniera, l’atto di designazione della persona fisica deve rispettare le norme previste per l’efficacia in Italia degli atti esteri (legalizzazione o apostille).

. Se vuoi scaricare le massime emesse dalla Commissione studi del Consiglio Notarile di Milano, clicca QUI


"Anche la legge di riforma del diritto societario non ha espressamente affrontato il tema, perdendo probabilmente un'occasione di eliminare ..... uno svantaggio competitivo del nostro ordinamento rispetto a quello degli altro Stati geograficamente vicini che, invece, consentono la nomina di una persona giuridica quale amministratore di società ...".
Nel nostro Paese possono tranquillamente operare società straniere dotate di organi amministrativi composti anche (o solo) da persone giuridiche. Appare perciò singolare non ammettere, per una società italiana, di tenere nel nostro Paese lo stesso comportamento che invece può essere tenuto da uno straniero che nel nostro stesso Paese opera.
Lo sostiene il Notaio Angelo Busani, in un approfondimento dal titolo "La nomina di soggetti diversi dalle persone fisiche alla carica di amministratore di società di capitali".

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SOCIETA' DI CAPITALI - AMMINISTRATORI - GRAVI IRREGOLARITA' NELLA GESTIONE - DENUNCIA AL TRIBUNALE

1. Il dato normativo

Riportiamo il testo dell’art. 2409 C.C.:
Art. 2409. (Denunzia al tribunale)
1. Se vi è fondato sospetto che gli amministratori, in violazione dei loro doveri, abbiano compiuto gravi irregolarità nella gestione che possono arrecare danno alla società o a una o più società controllate, i soci che rappresentano il decimo del capitale sociale o, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, il ventesimo del capitale sociale possono denunziare i fatti al tribunale con ricorso notificato anche alla società. Lo statuto può prevedere percentuali minori di partecipazione.
2. Il tribunale, sentiti in camera di consiglio gli amministratori e i sindaci, può ordinare l'ispezione dell'amministrazione della società a spese dei soci richiedenti, subordinandola, se del caso, alla prestazione di una cauzione. Il provvedimento è reclamabile.
3. Il tribunale non ordina l'ispezione e sospende per un periodo determinato il procedimento se l'assemblea sostituisce gli amministratori e i sindaci con soggetti di adeguata professionalità, che si attivano senza indugio per accertare se le violazioni sussistono e, in caso positivo, per eliminarle, riferendo al tribunale sugli accertamenti e le attività compiute.
4. Se le violazioni denunziate sussistono ovvero se gli accertamenti e le attività compiute ai sensi del terzo comma risultano insufficienti alla loro eliminazione, il tribunale può disporre gli opportuni provvedimenti provvisori e convocare l'assemblea per le conseguenti deliberazioni. Nei casi più gravi può revocare gli amministratori ed eventualmente anche i sindaci e nominare un amministratore giudiziario, determinandone i poteri e la durata.
5. L'amministratore giudiziario può proporre l'azione di responsabilità contro gli amministratori e i sindaci. Si applica l'ultimo comma dell'articolo 2393.
6. Prima della scadenza del suo incarico l'amministratore giudiziario rende conto al tribunale che lo ha nominato; convoca e presiede l'assemblea per la nomina dei nuovi amministratori e sindaci o per proporre, se del caso, la messa in liquidazione della società o la sua ammissione ad una procedura concorsuale.
7. I provvedimenti previsti da questo articolo possono essere adottati anche su richiesta del collegio sindacale, del consiglio di sorveglianza o del comitato per il controllo sulla gestione, nonché, nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, del pubblico ministero; in questi casi le spese per l'ispezione sono a carico della società.



Il controllo del Tribunale previsto e disciplinato dall'art. 2409 C.C. è finalizzato al ripristino della legalità della gestione della società per azioni, a tutela dell'interesse della società stessa e degli interessi dei soci, mediante l'accertamento e l'eliminazione di gravi irregolarità poste in essere dall'organo amministrativo e dall'organo di controllo.
Si tratta di un intervento esterno ed invasivo che presuppone la omessa attivazione o, comunque, la inoperatività degli strumenti di tutela endosocietari previsti dall'ordinamento nel caso di condotte irregolari di amministratori e sindaci.

Ancorchè invariato sotto il profilo funzionale, il procedimento ex art. 2409 C.C. è stato in più punti oggetto dell'attività riformatrice del legislatore delegato.
Gli interventi hanno principalmente interessato:
- gli spazi di operatività del procedimento: esteso alle società cooperative, ad eccezione di quelle bancarie, ma eliminato per le società a responsabilità limitata;
- le parti: è stata prevista la partecipazione al procedimento della società; oltrechè in capo ai soci, il potere di iniziativa è stato riconosciuto in capo all'organo di controllo interno della società; la legittimazione ad agire del Pubblico Ministero è stata, invece, limitata alle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio),
- i presupposti della denuncia: condizionata al fondato sospetto di gravi irregolarità nella gestione solo ove queste "possono arrecare danno alla società" o, ed è questo un altro profilo di novità, “a una o più società controllate";
- il procedimento: è stato introdotto un nuovo rito camerale applicabile anche al controllo ex art. 2409 C.C.; è stata prevista la reclamabilità del provvedimento che dispone l'ispezione; è stato introdotto la possibilità della sostituzione degli organi sociali ad opera della società stessa nella pendenza del procedimento, finalizzata all’accertamento e alla eliminazione delle irregolarità; è stato precisato l'obbligo, per l'amministratore giudiziario, di rendere conto al Tribunale in ordine all’attività espletata.


1.1. Estensione alle società cooperative

L'estensione del controllo giudiziario alle società cooperative (art. 2545-quinquiesdecies inserito nella sezione VI dedicata ai Controlli del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n.6) corrisponde ad una precisa indicazione della Legge delega 3 ottobre 2001 n. 366, che chiedeva di "prevedere anche per le cooperative il controllo giudiziario disciplinato dall'art. 2409 del codice civile, salvo quanto previsto dall'articolo 70, comma 7, del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto egislativo 1 settembre 1993, n.385".
Dispone la norma delegata che "i fatti previsti dall'art. 2409 possono essere denunciati al Tribunale dai soci che siano titolari del decimo del capitale sociale ovvero da un decimo del numero complessivo dei soci e, nelle società cooperative che hanno più di tremila soci, da un ventesimo dei soci".
Come è noto, in precedenza si riteneva non applicabile alle cooperative il procedimento ex art. 2409 C.C. in considerazione dell’esistenza al riguardo del potere di vigilanza e controllo facente capo alla Pubblica Amministrazione, e di un regime speciale ritenuto più idoneo per le finalità generali perseguite dalle cooperative (gestione commissariale) .
Ove - in seguito alla riforma - il controllo governativo concorra con quello giudiziario (in ogni caso il ricorso deve essere notificato, a cura dei ricorrenti, anche all'Autorità di Vigilanza) al primo viene data comunque prevalenza, nel senso che il Tribunale non può adottare alcun provvedimento di merito, e deve dichiarare improcedibile il ricorso, se per i medesimi fatti risulti avviato il procedimento amministrativo con la nomina di un ispettore o di un commissario da parte dell'Autorità di Vigilanza.
Quest’ultima, invece, si limita a disporre la sospensione del procedimento dalla medesima iniziato se il Tribunale per i medesimi fatti ha nominato un ispettore o un amministratore giudiziario.


1.2. Controllo giudiziario - Abolito per le SRL

Il controllo giudiziario ex art. 2409 C.C. è stato, come si diceva, abolito relativamente alla società a responsabilità limitata, in conseguenza della operata differenziazione di regime, e di una regolamentazione degli interessi di natura eminentemente contrattuale.
A riguardo è stata apprestata una diversa strumentazione di tutela per il socio il quale, in base al nuovo art. 2476 C.C., dispone di ampi poteri informativi ai fini del controllo sull’attività amministrativa e, oltrechè promuovere l'azione di responsabilità contro gli amministratori (responsabilità prevista in relazione ai “danni derivanti dall’inosservanza dei doveri ad essi imposti dalla legge e dall’atto costitutivo”), “può altresì chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione della società”, e dunque a prescindere dalla avvenuta verificazione di un danno per la società, “che sia adottato un provvedimento cautelare di revoca degli amministratori".
Mancando un’espressa previsione, è da escludere la nomina viva di un amministratore giudiziario.


2. Le gravi irregolarità e le sue caratteristiche

La formulazione previgente della norma non richiedeva il carattere della potenzialità del danno ne, tantomeno, che lo stesso fosse diretto verso la società o verso le controllate di questa.
Il nuovo dettato legislativo ha, di contro, inteso limitare l’operatività dell’art. 2409 c.c. escludendo solo quei comportamenti che, seppur formalmente scorretti, non possano recare danno alla società e, per altro aspetto ha ampliato il campo di applicazione verso atti potenzialmente pregiudizievoli verso le società controllate.
Secondo quanto affermato in giurisprudenza, per “irregolarità” va intesa ogni difformità dei comportamenti di amministratori e sindaci dalle regole che li disciplinano.
Le irregolarità devono avere i caratteri della gravità, della verosimiglianza, e della attualità.
In base al nuovo testo normativo è necessaria la presenza di una situazione che comporti l'attualità di un pericolo di danno per la società.
La giurisprudenza già in precedenza fondava in via di massima l'intervento del Tribunale sulla valutazione del pregiudizio potenziale per la società.
L'aver tuttavia attribuito espressa valenza normativa a tale presuposto conferma e impone sia l'allegazione e prospettazione dello stesso da parte dei soggetti ricorrenti, sia la valutazione e argomentazione sul punto da parte del Tribunale.
Se da un lato non è necessario il danno effettivo ma è sufficiente la potenzialità dannosa - cioè le conseguenze dannose che possono prevedersi anche in futuro per la società - dall'altro lato, non hanno rilevanza, ai fini dell'esperibilità dei rimedi di cui all'art. 2409, violazioni inidonee a determinare pregiudizi per la società stessa.

L’espressione “gravi irregolarità”, che è rimasta immutata nella nuova formulazione, non è stata oggetto di definizione specifica da parte della giurisprudenza la quale ha, di volta in volta, identificato l’elasticità del concetto stesso con un sistema di pronunciati interpretativi a completamento continuo e successivo.
La dottrina, invece, si è espressa, sotto il vigore del precedente testo normativo, per una interpretazione assai estensiva del concetto medesimo.
Secondo alcuni (Tedeschi) esiste le gravi irregolarità solo quando i comportamenti degli amministratori e dei sindaci differiscono in modo notevole ed importante dalla condotta che avrebbero dovuto osservare.
Attualmente non pare in dubbio che anche il mutato riferimento alla violazione dei doveri richieda l’esistenza di una violazione espressa e specifica di una norma di legge.
Le caratteristiche strutturali delle "gravi irregolarità" vengono definite tali, indipendentemente se produttive di utile risultato per il patrimonio sociale, ed a prescindere dal fatto di essere o meno potenzialmente lesive dell’integrità dello stesso.
In effetti la precedente disciplina codicistica sanzionava l’irregolarità grave in se considerata avvicinando la fattispecie punitiva prevista alla sanzione degli illeciti di sola condotta.
Il legislatore della riforma ha, invece, ristretto i requisiti oggettivi di applicazione della norma riducendone l’applicazione ai casi nei quali vi sia la coesistenza di:
- “violazione dei doveri degli amministratori”;
- gravi irregolarità;
- danno potenziale
.


3. Sospensione del procedimento giudiziario di denuncia d’irregolarità per la nomina di nuovi amministratori

Assonime pubblica il Caso n. 4 del 2009 sulla sospensione del procedimento giudiziario di denuncia d’irregolarità nella gestione societaria, per la nomina di nuovi amministratori.
La giurisprudenza, con Ordinanza del Tribunale di Vicenza del 30 marzo 2009, n. 344/09, affronta per la prima volta, dopo la riforma del diritto societario, le nuove regole in materia.
La decisione del Tribunale di Vicenza valorizza la capacità della società di sanare autonomamente i vizi organizzativi e l’efficienza dei rimedi interni rispetto a quelli giurisdizionali, secondo uno dei principi forti della riforma societaria del 2003.
Il caso in esame verte, in particolare, sulla modifica apportata al terzo comma dell’art. 2409 c.c., che dispone che il tribunale non ordina l’ispezione, oppure sospende per un periodo determinato il procedimento, se “l’assemblea sostituisce gli amministratori e i sindaci con soggetti di adeguata professionalità che si attivano senza indugio per accertare se le violazioni sussistono e, in caso positivo, per eliminarle”.
La prima questione interpretativa su cui si sofferma Assonime ha a che fare con la sostituzione di amministratori e sindaci come presupposto della sospensione del giudizio.
L’ordinanza afferma che, nonostante la dizione letterale della norma, la sostituzione dei sindaci non è indispensabile quando ad essi non è imputato alcun inadempimento specifico e non vi è un’espressa richiesta in tal senso.
L’altro aspetto su cui si sofferma Il Caso è relativo alla difficoltà di individuare i criteri per stabilire se gli amministratori che vanno a sostituire i precedenti abbiano le caratteristiche indicate nel terzo comma dell’art. 2409 c.c.
In questa occasione il Tribunale di Vicenza ha affermato che, oltre alla sussistenza delle qualità soggettive di professionalità e indipendenza del singolo, è necessario anche che i nuovi gestori predispongano un programma, caratterizzato da analiticità e completezza, su come intendono agire, indicando le modalità e i tempi della loro azione e fissando le scelte strategiche e quelle operative.

Si riporta il testo dell’ordinanza del Tribunale di Vicenza e il Caso n. 4 proposto da Assonime:
. Tribunale di Vicenza – Ordinanza del 30 marzo 2009, n. 344/09.

. ASSONIME – Il Caso n. 4/2009 - Sospensione del procedimento giudiziario di denuncia d’irregolarità per la nomina di nuovi amministratori.


SOCIETA’ DI CAPITALI E SOCIETA' COOPERATIVE – ADEGUAMENTO DEGLI STATUTI

1. I termini e le modalità di adeguamento dettati dalla riforma del diritto societario e l’iscrizione nel Registro delle imprese

La riforma del diritto societario, entrata in vigore il 1° gennaio 2004, ha comportato, come conseguenza immediata, l’imposizione dell’obbligo di adeguamento, da parte di tutte le società coinvolte dalla riforma esistenti alla data del 1° gennaio 2004, dei propri atti costitutivi e statuti alle nuove norme.
Le regole di carattere generale che regolano i limiti temporali entro i quali si doveva procedere all’adeguamento degli statuti e le conseguenze derivanti dall’omesso o tardivo adeguamento si ricavano fondamentalmente dalle norme di attuazione e transitorie dettate negli articoli 223-bis e 223-ter, per le società di capitali, e dall’art. 223-duodecies, per le società cooperative.
L’articolo 223-bis, comma 1, dispone che le Società per azioni, le Società in accomandita per azioni e le Società a responsabilità limitata “iscritte al Registro delle imprese alla data del 1°gennaio 2004, devono uniformare l’atto costitutivo e lo statuto alle nuove disposizioni inderogabili entro il 30 settembre 2004”.


2. Le peculiarità riguardanti le società cooperative

Le norme di attuazione del nuovo diritto societario hanno previsto che le cooperative avessero tempi più lunghi, rispetto ad altre società, per uniformare l'atto costitutivo e lo statuto alle nuove disposizioni inderogabili.
Infatti, secondo quanto disposto dall’art. 223-duodecies, comma 1, Disp. Attt. C.C., le società cooperative, iscritte nel Registro delle imprese alla data del 1° gennaio 2004, avrebbero dovuto uniformare l'atto costitutivo e lo statuto alle nuove disposizioni inderogabili entro il 31 dicembre 2004.
La data del 31 dicembre 2004 è stata successivamente posticipata al 31 marzo 2005 per effetto del disposto di cui all’art. 19-ter della legge 27 dicembre 2004, n. 306, di conversione del D.L. 9 novembre 2004, n. 266 e quello di cui all’art. 36 del D.Lgs. 28 dicembre 2004, n. 310.


3. Organo competente all’adeguamento e quorum deliberativi

Per agevolare la transizione normativa interna delle società, come sostanzialmente afferma la relazione governativa, si è ritenuto opportuno prevedere quorum più leggeri rispetto a quelli usualmente disposti. E perciò il secondo comma dell’art. 223-bis ha previsto che le deliberazioni potessero essere assunte con assemblea straordinaria, a maggioranza semplice, qualunque sia il numero dei soci partecipanti.
Non è dunque previsto alcun quorum costitutivo e il quorum deliberativo è stato scelto il più basso possibile (maggioranza semplice).
La previsione di un quorum ridotto deroga sia ai quorum previsti dalla legge per le modificazioni dell’atto costitutivo, sia agli eventualmente diversi quorum fissati dallo statuto.
La specificazione della veste “straordinaria” dell’assemblea non pare particolarmente significativa, soprattutto se si considera che la nuova riforma ha previsto il venir meno della distinzione tra assemblea ordinaria e straordinaria per le Srl.
Il richiamo all’assemblea straordinaria pare essenzialmente finalizzato a richiedere la forma notarile della delibera, obbligatoria per qualsiasi tipo di società.


4. Conseguenze del mancato adeguamento

Come si è detto, l’adeguamento dell’atto costitutivo e dello statuto è obbligatorio.
Ma quali sono le conseguenze in ipotesi di mancato adeguamento?

Nelle norme non si rinviene alcuna esplicita indicazione in ordine agli effetti che possono conseguire, per le società di capitali, dalla mancata adozione delle deliberazioni di adeguamento dei loro statuti alle nuove norme inderogabili.
Solo nella Relazione, a commento dell’art. 223-bis, si afferma che dal carattere inderogabile delle nuove disposizioni deriverebbe “la logica conseguenza che, in caso di mancato adeguamento, le società non possano ulteriormente operare, sì che si e previsto una causa di scioglimento ope legis”.
Tuttavia, quanto affermato nella Relazione non trova alcun riscontro nel dato normativo, che non soltanto non contempla tale causa di scioglimento, ma enuncia, sia pur implicitamente, una regola opposta, disponendo che fino alla data indicata nel primo comma - e dunque fino al 30 settembre 2004 - le previgenti disposizioni dell’atto costitutivo e dello statuto conservano la loro efficacia anche se non conformi alle disposizioni inderogabili del presente decreto (art. 223-bis, comma 4, disp. att. C.C.).
Dunque, le disposizioni contrastanti con le norme inderogabili introdotte dalla riforma sono semplicemente destinate a perdere la loro efficacia dal 1° ottobre 2004.
L’omesso adeguamento determinerà, pertanto, la sostituzione della regola statutaria divenuta inefficace con la disciplina dettata dalla riforma.

La dottrina è stata sostanzialmente unanime nel ritenere che il mancato adeguamento dello statuto non comporta in alcun modo la grave conseguenza dello scioglimento della società. Il nostro ordinamento, che è retto dal principio della «tipicità legislativa», non prevede, infatti, tra le cause di scioglimento della società il mancato adeguamento dell'atto costitutivo a norme di legge.
Il dovere di uniformare gli statuti entro il termine del 30 settembre 2004, per le società di capitali, e del 31 dicembre 2004, per le società cooperative, non costituisce in alcun caso – come sostiene il Consiglio Nazionale del Notariato - un vero e proprio obbligo per la società, ponendosi piuttosto alla stregua di un onere, ovvero di un comportamento che si deve tenere ove si voglia evitare una determinata conseguenza.
La sopravvenuta inefficacia delle clausole statutarie in contrasto con le nuove norme imperative introdotte con il D.Lgs. n. 6/2003 a partire dalla scadenza del periodo transitorio, quindi, costituisce l'unica conseguenza prevista dal legislatore a fronte del mancato adeguamento degli statuti.


5. Le novità introdotte dal decreto legislativo 29 dicembre 2006, n. 303 per le società quotate in mercati regolamentati

Pubblicato nel Suppl. Ord. n. 5 alla Gazzetta Ufficiale n. 7 del 10 gennaio 2007, il D. Lgs. 29 dicembre 2006, n. 303, che attua la delega per il coordinamento del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (TUB) e del Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (TUF) con la legge 28 dicembre 2005, n. 262.
Tale decreto entra in vigore il 25 gennaio 2007.
L’articolo 5, comma 2, stabilisce che ”Le società iscritte al Registro delle imprese alla data di entrata in vigore del presente decreto provvedono ad uniformare l’atto costitutivo e lo statuto alle disposizioni introdotte dalla legge 28 dicembre 2005, n. 262, e dal presente decreto entro il 30 giugno 2007.

Il successivo comma 3 stabilisce che “L'assemblea straordinaria chiamata ad assumere le deliberazioni necessarie per uniformare l'atto costitutivo e lo statuto alle disposizioni introdotte dalla legge 28 dicembre 2005, n. 262, e dal presente decreto, delibera con il voto favorevole della maggioranza del capitale sociale rappresentato in assemblea, ferme restando le maggioranze richieste dalla legge o dallo statuto per la regolare costituzione dell'assemblea e impregiudicata l'eventuale applicazione dell'articolo 2365, secondo comma, del codice civile”, secondo il quale “lo statuto può attribuire alla competenza dell'organo amministrativo o del consiglio di sorveglianza o del consiglio di gestione le deliberazioni concernenti la fusione nei casi previsti dagli articoli 2505 e 2505-bis, l'istituzione o la soppressione di sedi secondarie, la indicazione di quali tra gli amministratori hanno la rappresentanza della società, la riduzione del capitale in caso di recesso del socio, gli adeguamenti dello statuto a disposizioni normative, il trasferimento della sede sociale nel territorio nazionale. Si applica in ogni caso l'articolo 2436”.


5.1. Le società interessate

Le modifiche statutarie che devono adottare le società iscritte nel Registro delle imprese alla data del 25 gennaio 2007 sono imposte dalla legge non a qualsiasi società, nè a qualsiasi emittente azioni diffuse fra il pubblico in misura rilevante, ma solo alle società con azioni quotate in mercati regolamentati italiani o in Paesi dell'Unione europea, come indicato all'art. 119 del D. Lgs. n. 58/1998.
Quanto alle società non quotate che presenteranno nel 2007 il prospetto informativo per l'ammissione alla quotazione, lo statuto da allegare al prospetto dovrà già essere rispondente alle prescrizioni della legge sul risparmio e del decreto correttivo, anche prima del 30 giugno 2007.

5.2. Le modifiche statutarie

In estrema sintesi, le norme della legge sul risparmio e del decreto correttivo che impattano sugli statuti possono riguardare:
a) la elezione e la composizione del consiglio di amministrazione (eletti sulla base di liste di candidati);
b) le disposizioni sulle modalità di voto (scrutinio segreto o scrutinio palese);
c) il possesso di determinati requisiti previsti da codici di comportamento.


D.LGS. N. 14/2019 - CODICE DELLA CRISI D’IMPRESA E DELL’INSOLVENZA
LE MODIFICHE AL CODICE CIVILE E LE CONSEGUENZE SULLE SRL E SULLE COOPERATIVE


E’ stato pubblicato, sulla Gazzetta Ufficiale n. 38 del 14 febbraio 2019 – Supplemento Ordinario n. 6, il Decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, recante “Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155”.
Il decreto si compone di 391 articoli ed è strutturato in quattro parti:
- la prima dedicata al codice della crisi e dell’insolvenza (artt. 1 - 373),
- la seconda alle modifiche al Codice civile (artt. 374 - 383),
- la terza alle garanzie in favore degli acquirenti di immobili da costruire (artt. 384 - 388);
- la quarta parte alle disposizioni finali e transitorie (artt. 389 - 391).

1. Le modifiche al Codice civile

Per poter dare attuazione alla disciplina contenuta nella riforma della crisi e dell’insolvenza, il legislatore ha dovuto apportare delle modifiche alle disposizioni del Codice civile.
Agli articoli dal 375 al 384 vengono disposte modifiche riguardano i seguenti articoli: 2086, 2119, 2257, 2288, 2308, 2380-bis, 2409-novies, 2467, 2475, 2476, 2477, 2484, 2486, 2497.
Disposta l’abrogazione dell’articolo 2221 che prevede l'assoggettamento degli imprenditori commerciali alle procedure del fallimento e del concordato preventivo, in caso d'insolvenza (art. 384).

1) All’articolo 2086 viene modificata la rubrica da "Direzione e gerarchia nell'impresa" a "Gestione dell'impresa" e, dopo il primo comma è aggiunto il seguente:
“L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale” (art. 375).

2) È stato modificato anche il comma 2 dell’articolo 2119, in quanto è stato statuito che:
▪ non costituisce giusta causa di risoluzione del contratto la liquidazione coatta amministrativa dell'impresa;
▪ gli effetti della liquidazione giudiziale sui rapporti di lavoro sono regolati dal codice della crisi e dell'insolvenza, con conseguente rinvio alla disciplina contenuta nel nuovo codice (art. 376).

3) Disposta anche la modifica degli articoli 2257, 2380-bis, 2409-novies, 2475 e 2475 in quanto vengono estesi a tutti i tipi di società gli obblighi previsti dall’art. 2086, comma 2, in forza del quale l’imprenditore, che operi in forma individuale, societaria o in qualunque altra veste, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale (art. 377).

4) Per quanto riguarda la responsabilità degli amministratori, l’art. 378 prevede:
a) all’articolo 2476, dopo il quinto comma, l’aggiunta del seguente:
“Gli amministratori rispondono verso i creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. L’azione può essere proposta dai creditori quando il patrimonio sociale risulta insufficiente al soddisfacimento dei loro crediti. La rinunzia all’azione da parte della società non impedisce l’esercizio dell’azione da parte dei creditori sociali. La transazione può essere impugnata dai creditori sociali soltanto con l’azione revocatoria quando ne ricorrono gli estremi.”.
Gli amministratori vengono così fortemente responsabilizzati alla conservazione del patrimonio sociale.

b) All’articolo 2486, dopo il secondo comma , l’aggiunta del seguente:
“Quando è accertata la responsabilità degli amministratori a norma del presente articolo, e salva la prova di un diverso ammontare, il danno risarcibile si presume pari alla differenza tra il patrimonio netto alla data in cui l’amministratore è cessato dalla carica o, in caso di apertura di una procedura concorsuale, alla data di apertura di tale procedura e il patrimonio netto determinato alla data in cui si è verificata una causa di scioglimento di cui all’articolo 2484, detratti i costi sostenuti e da sostenere, secondo un criterio di normalità, dopo il verificarsi della causa di scioglimento e fino al compimento della liquidazione. Se è stata aperta una procedura concorsuale e mancano le scritture contabili o se a causa dell’irregolarità delle stesse o per altre ragioni i netti patrimoniali non possono essere determinati, il danno è liquidato in misura pari alla differenza tra attivo e passivo accertati nella procedura”.

5) L’articolo 380 prevede l’aggiunta, all’articolo 2484, di una nuova causa di scioglimento delle società di capitali: il numero 7-bis, in forza del quale costituisce causa di scioglimento della società per azioni, della società in accomandita per azioni e della società a responsabilità limitata anche “l’apertura della procedura di liquidazione giudiziale e della liquidazione controllata”.

6) È stato fatto un intervento anche sulle società cooperative che svolgono attività commerciali:
a) viene sostituito il secondo periodo del comma 1 dell’art. 2545-terdecies, prevedendo che le stesse sono soggette a liquidazione giudiziale;
b) viene sostituito il primo periodo del comma 1 dell’art. 2545-septiesdecies, nel quale si prevede che in caso di irregolare funzionamento della società cooperativa, l’autorità di vigilanza può revocare gli amministratori e i sindaci, affidare la gestione della società a un commissario, determinando i poteri e la durata, al fine di sanare le irregolarità riscontrate e, nel caso di crisi o insolvenza, autorizzarlo a domandare la nomina del collegio o del commissario per la composizione assistita della crisi stessa o l’accesso a una delle procedure regolatrici previste nel codice della crisi e dell’insolvenza (art. 381).

7) È infine prevista . a decorrere dal 15 agosto 2020 - l’abrogazione dell’art. 2221 c.c., dove si stabilisce che “Gli imprenditori che esercitano un'attività commerciale, esclusi gli enti pubblici e i piccoli imprenditori, sono soggetti, in caso di insolvenza, alle procedure del fallimento e del concordato preventivo, salve le disposizioni delle leggi speciali”.

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2. La nuova disciplina del controllo dei conti nelle SRL - Ampliate le ipotesi di obbligatorietà - Eventuale adeguamento degli statuti entro il 16 dicembre 2019

Con l’obiettivo di favorire l’emersione e la gestione tempestiva della crisi il legislatore, attraverso la modifica dell’art. 2477 C.C., si sono di fatto ampliate le ipotesi in cui è obbligatoria la nomina degli organi di controllo interni e dei revisori nella società a responsabilità limitata.
Ricordiamo che tale articolo ha subito, da ultimo, una modifica per effetto dell’art. 20, comma 8, del D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 116.
Le disposizioni attualmente in vigore prevedono che vi sia l’obbligo di nomina dell’organo di controllo nel caso in cui: a) la società è tenuta alla redazione del bilancio consolidato;
b) la società esercita il controllo una società obbligata alla revisione legale dei conti;
c) vengono superati per due esercizi consecutivi due dei limiti indicati all’art. 2435-bis, primo comma del codice civile, in tema di redazione del bilancio in forma abbreviata ovvero:
1) totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 4.400.000 euro;
2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 8.800.000 euro;
3) dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 50 unità
.
L’obbligo di nomina dell’organo di controllo o del revisore di cui alla lettera c) del terzo comma cessa se, per due esercizi consecutivi, i predetti limiti non vengono superati.
Al quinto comma si stabilisce che nel caso di nomina di un organo di controllo, anche monocratico, si applicano le disposizioni sul collegio sindacale previste per le società per azioni.

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D.LGS. N. 14/2019 - CODICE DELLA CRISI D’IMPRESA E DELL’INSOLVENZA
LE MODIFICHE AL CODICE CIVILE E LE CONSEGUENZE SULLE SRL E SULLE COOPERATIVE


Dalla Rivista "Orizzonti del diritto commerciale", segnaliamo un artivolo di Chiara Garilli dal titolo "La revoca dello stato di liquidazione: interessi in gioco e questioni ancora aperte".

L'articolo analizza in dettaglio la disciplina della revoca dello stato di liquidazione di cui all'art. 2487-terc.c.
Sebbene l'introduzione di tale norma nel 2003 abbia avuto il merito di sancire in modo chiaro e definitivo la revocabilità dello stato di liquidazione delle società di capitali, molti altri aspetti restano ancora in ombra.
Fra questi ultimi, assumono particolare rilievo:
(i) la possibilità di revocare lo stato di liquidazione nelle società di persone;
(ii) l'ambito di applicazione temporale della disciplina in esame;
(iii) le interconnessioni tra il recesso dei soci dissenzienti e lo scioglimento della società;
(iv) le modalità di preventiva eliminazione di talune cause di scioglimento; e
(v) gli interessi sottesi alla facoltà di opposizione dei creditori.
Sotto tale ultimo profilo, peraltro, l'autore ritiene preferibile adottare, in una prospettiva sistematica, un'interpretazione restrittiva circa l'individuazione dei creditori legittimati.

SOMMARIO: 1. Introduzione: una panoramica dei nodi interpretativi d’incerta soluzione e qualche considerazione sulla revocabilità dello stato di liquidazione nelle società di persone. – 2. La competenza assembleare in merito alla revoca dello stato di liquidazione: aspetti procedimentali e tutela della minoranza. - 2.1.(Segue): il diritto di recesso in favore dei soci dissenzienti. – 3. Le perduranti incertezze in relazione all’ambito temporale di applicazione dell’art. 2487-terc.c. – 4. La previa (o contestuale) eliminazione delle cause di scioglimento. – 5. La tutela dei creditori socialiattraverso l’opposizione alla revoca dello stato di liquidazione: untentativo d’interpretazione sistematica.

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INTERVENTO IN ASSEMBLEA MEDIANTE MEZZI DI TELECOMUNICAZIONE
MASSIME DEL CONSIGLIO NOTARILE DI MILANO E DEL COMITATO TRIVENETO


1) Bisogna, in primo luogo, ricordare che le disposizioni del Codice civile, dopo la riforma del diritto societario del 2003, prevedono che lo statuto delle società possa consentire che le riunioni assembleari e quelle del consiglio di amministrazione possano tenersi anche mediante mezzi di telecomunicazione. In particolare, l’articolo 2370, comma 4, dispone che “lo statuto può consentire l’intervento all’assemblea mediante mezzi di telecomunicazione ovvero l’espressione del voto per corrispondenza o in via elettronica. Chi esprime il voto per corrispondenza o in via elettronica si considera intervenuto all’assemblea”.
Per quanto riguarda, invece, l’organo amministrativo, l’articolo 2388, comma 1, secondo periodo, C.C. stabilisce che “lo statuto può prevedere che la presenza alle riunioni del consiglio avvenga anche mediante mezzi di telecomunicazione“.
Nella prassi, gli statuti delle società che hanno inserito la possibilità di tenere le riunioni dell’assemblea e del consiglio di amministrazione anche mediante “mezzi di telecomunicazione” (che si esplicitano in audio o videoconferenze) prevedono la necessità che il Presidente ed il Segretario si trovino nello stesso luogo.
In deroga a tale principio, l’indicazione contenuta nel D.P.C.M. 8 marzo 2020, tenuto conto che è necessario in questo periodo evitare i contatti sociali e personali, consente di svolgere le riunioni assembleari e dell’organo amministrativo anche se il Presidente ed il Segretario non si trovino nello stesso luogo.

2) Con Massima “emergenziale” n. 187 del 11 marzo 2020 la Commissione Società del Consiglio notarile di Milano ha fornito chiarimenti circa l’intervento in assemblea mediante mezzi di telecomunicazione (in audio o videoconferenza).
E’ legittima un’assemblea alla quale partecipino tutti i soggetti legittimati anche se collegati per videoconferenza, compreso il presidente dell’assemblea medesima. Solo il Notaio (o il segretario, nell’ipotesi in cui non sia richiesto l’intervento del primo) dovrà recarsi nel luogo di convocazione.
La massima trae spunto:
– dall’art. 1, comma 1, lettera q), del D.P.C.M. 8 marzo 2020, secondo il quale, in tutti i casi possibili, nello svolgimento di riunioni, vanno adottate modalità di collegamento da remoto, garantendo comunque il rispetto della distanza di sicurezza ed evitando assembramenti; e
– dalla natura giuridica del verbale assembleare come atto pubblico senza parti e pertanto dalla possibilità di essere redatto anche in assenza del presidente dell’assemblea, venendo sottoscritto dal solo Notaio (giusta la disgiuntiva “o” di cui al comma 1 dell’art. 2375 c.c.), anche non contestualmente allo svolgimento dell’assemblea.
Con l’emergenza Coronavirus le assemblee e i consigli di amministrazione possono tenersi mediante mezzi di telecomunicazione con riferimento a tutti i partecipanti alla riunione, compreso il presidente, a condizione che nel luogo in cui è stato convocato il consiglio di amministrazione o l’assemblea sia presente il segretario, ovvero il Notaio in caso di assemblea straordinaria.
La domanda a cui la massima dà una risposta è la seguente: qualora una società voglia procedere con un’assemblea a distanza, mediante mezzi di telecomunicazione, cosa accade se lo statuto prevede espressamente che presidente e soggetto verbalizzante si trovino nello stesso luogo di convocazione?
Secondo la Commissione Società del Consiglio Notarile di Milano, bisogna anzitutto precisare che per tutti i partecipanti, ivi compreso il presidente, è possibile intervenire mediante mezzi di telecomunicazione, a condizione che la redazione del verbale, in forma pubblica, redatto da un notaio nella sua qualità di pubblico ufficiale, non sia contestuale ma avvenga in una fase successiva. In tal caso, il presidente potrà quindi non trovarsi nello stesso luogo del notaio verbalizzante, in quanto le clausole statutarie che prevedono la compresenza fisica del presidente e del notaio nello stesso luogo di convocazione non impediscono lo svolgimento della riunione assembleare con l’intervento di tutti i partecipanti attraverso mezzi di telecomunicazione, potendo il notaio redigere il verbale assembleare anche successivamente e solo con la sua sottoscrizione.
Il verbale, infatti, può essere sottoscritto dal solo notaio non essendo richiesta, a pena di invalidità, la sottoscrizione anche del presidente dell’assemblea.
La prassi notarile ha verificato in concreto la perfetta utilizzabilità del verbale postumo, anche senza la firma del presidente dell’assemblea. D’altro canto ritenere indispensabile l’intervento del presidente al solo fine di firmare il verbale redatto dal notaio attribuirebbe al primo un ruolo che nessuna norma gli attribuisce.
L’art. 2375 cod. civ. andrebbe quindi letto nel senso che la sottoscrizione del notaio è da considerarsi alternativa alla sottoscrizione del presidente.
Inoltre, l’art. 2379, comma 3, cod. civ. stabilendo che non si considera mancante il verbale sottoscritto dal solo notaio, suggerisce che il significato della sottoscrizione del presidente dell’assemblea non è quello di confermare la veridicità del contenuto del verbale ma di attestarne la riferibilità alla società, e a tal fine, è certamente sufficiente la sola sottoscrizione da parte del notaio quale pubblico ufficiale.
Quindi, dal momento che, non solo la Commissione Società del Consiglio Notarile di Milano, ma anche lo stesso legislatore ritengono non indispensabile la firma del soggetto che presiede l’assemblea, si ritiene certamente possibile affermare che, in caso di assemblea svolta a distanza e in presenza di verbalizzazione non contestuale, il presidente possa essere dislocato in un luogo diverso rispetto a quello del notaio.
Il luogo di convocazione sarà, comunque, quello dove si troverà il notaio verbalizzante e non il domicilio del presidente.
La ragione che, in linea teorica, potrebbe richiedere la necessaria presenza del presidente e del notaio nel medesimo luogo, sarebbe solo l’esigenza di consentire al soggetto verbalizzante, vale a dire al notaio, un miglior controllo della veridicità delle dichiarazioni rese dal presidente. Tale criticità, tuttavia, è facilmente superabile con l’ausilio delle più moderne tecniche di video collegamento che consentono di documentare, con ragionevole certezza, lo svolgimento di fatti in luoghi diversi da quelli in cui si trova il notaio verbalizzante.

3) Si fa inoltre presente che secondo l’orientamento del Comitato Triveneto (massima H.B. 39) non è neppure necessaria che la possibilità di partecipazione all’assemblea per audio/video conferenza sia già prevista dal vigente statuto.
L’articolo 2370, comma 4, del Codice civile, quando afferma che «lo statuto può consentire l’intervento all’assemblea mediante mezzi di telecomunicazione», senza altro aggiungere, quindi senza disciplinare compiutamente le modalità di svolgimento di dette assemblee, non intende significare che il collegamento dei partecipanti si può effettuare solo quando lo statuto lo consente, ma va interpretato nel senso che lo statuto può regolamentare in vario modo lo svolgimento delle assemblee in audio-video conferenza, comunque consentite.
Pertanto, nelle società per azioni “chiuse”, anche in assenza di una specifica previsione statutaria, deve ritenersi possibile l’intervento in assemblea mediante mezzi di telecomunicazione, a condizione che siano in concreto rispettati i principi del metodo collegiale e che quindi sia garantita la possibilità di discussione e di partecipazione attiva.
Ove i mezzi di telecomunicazione siano previsti dall’avviso di convocazione, la società dovrà rispettare il principio di parità di trattamento dei soci.
Spetta al presidente dell’assemblea verificare il pieno rispetto del metodo collegiale, secondo principi di correttezza e di buona fede e, ove il collegamento sia predisposto dalla società, il rispetto della parità di trattamento dei soci.
Resta salva la possibilità per lo statuto di disciplinare diversamente la materia, anche in deroga alle regole della collegialità, e, fermo il diritto del socio di intervenire fisicamente in assemblea, è sempre possibile, con il consenso unanime dei soci, derogare alla regola statutaria (massima H.B.39).
In caso, poi, di riunione con mezzi di telecomunicazione per la quale siano stati predisposti dalla società più luoghi collegati nei quali i soci potranno contestualmente intervenire, e detti luoghi appartengano a fusi orari diversi, è necessario che si precisi per ciascun luogo della riunione il giorno e l’ora locale di convocazione (massima H.B.16).

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Pubblicato su: 2009-08-29 (7873 letture)

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