· Un consorzio di enti locali che svolge servizi pubblici può essere assoggettato al fallimento? Un consorzio di enti locali che svolga servizi pubblici (nella specie: smaltimento rifiuti urbani), costituito ai sensi dell'art. 31 D. Lgs. n. 267/2000, può essere assoggettato al fallimento o alla procedura di amministrazione straordinaria ai sensi della legge n. 270/1999?
Sul punto va osservato che la riforma in nulla ha innovato la disciplina degli enti pubblici, rispetto ai quali è ribadita la sottrazione al fallimento.
E' pacifico, tuttavia, che non sia da considerare ente pubblico la società le cui azioni siano in tutto o in parte possedute da enti pubblici (c.d. imprese in mano pubblica), poiché tale società rimane una società di diritto privato, come tale assoggettabile al fallimento.
In giurisprudenza, ai fini della qualificazione di un soggetto come pubblico o privato, si è privilegiato il dato sostanziale rispetto a quello nominalistico e formale (vedi, di recente, Trib. S.M. Capua Vetere 9 gennaio 2009).
In base a tale principio, si è così ritenuta, ai fini dell'individuazione dell'effettiva natura del soggetto, la rilevanza tanto del carattere strumentale o meno dell'ente societario rispetto al perseguimento di finalità pubblicistiche, quanto dell'esistenza o meno di una disciplina derogatoria rispetto a quella propria dello schema societario, sintomatica, in particolare, della strumentalità della società rispetto al conseguimento di finalità pubblicistiche (Cons. Stato 31 gennaio 2006, n. 308).
Occorre dunque prendere in esame, nel caso concreto, quelli che sono gli scopi del consorzio e accertare se esso svolga attività economica a carattere imprenditoriale (per tipologia e modalità di gestione, per organizzazione, per il ricorso al finanziamento dal mercato, ecc.) quando essa non costituisca necessariamente attività di servizio pubblico e sia rivolta anche a soggetti diversi dai partecipanti al consorzio. In quest'ultimo caso si ritengono applicabili al consorzio le disposizioni concorsuali (per un precedente, cfr. App. Torino 15 febbraio 2010).
(Matteo Tassi - IPSOA - 29 settembre 2010) [ Torna Su ]
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· Quando gli imprenditori esercenti un'attività commerciale sono soggetti a fallimento? L'impresa che ha un attivo patrimoniale superiore a 300.000 euro nei tre esercizi precedenti la data di deposito della istanza di fallimento, ma che proviene esclusivamente dall'attivo antecedente ai tre esercizi precedenti, è soggetta a fallimento oppure no?
Il requisito dell'attivo patrimoniale è come quello dei ricavi, nel senso che in nessuno dei tre esercizi precedenti la data di deposito dell'istanza l'imprenditore abbia realizzato ricavi lordi annui superiori a 200.000 euro?
L'art. 1 della l.fall., a seguito delle modifiche apportate dalla "Manovra correttiva" (d.lgs. n. 169/2007), stabilisce che non sono soggetti a fallimento gli imprenditori esercenti un'attività commerciale e che presentino congiuntamente i seguenti requisiti:
a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila;
b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila;
c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.
Con particolare riferimento al requisito sub a), per escludere la soggezione al fallimento, l'attivo patrimoniale non deve essere di ammontare complessivo annuo superiore ad euro 300.000, relativamente a ciascuno dei tre esercizi antecedenti il deposito dell'istanza di fallimento.
La locuzione "tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento" - che ha sostituito l'espressione "ultimi tre anni" in forza della "Manovra correttiva" - deve essere interpretata nel senso che devono essere presi in considerazione i tre esercizi precedenti già conclusi prima dell'anno di presentazione dell'istanza di fallimento.
Ciò significa che il riferimento è a ciascun anno intero senza che assumano rilievo specifici eventi, che in un dato momento dell'esercizio possono essere fuori dai parametri.
Più precisamente, con il termine "ammontare", il legislatore ha voluto fare riferimento al dato "contabile", rinvenibile quindi dal bilancio d'esercizio.
Nel caso di specie, il quesito riguarda il riferimento temporale del requisito sub a), chiedendo in particolare se la società in esame, avendo un attivo patrimoniale superiore ad euro 300.000 nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento, possa essere assoggettata a fallimento nonostante l'attivo abbia avuto origine in esercizi ancora precedenti.
La risposta deve intendersi affermativa.
In primis, dalla lettura della norma, è chiaro che l'intento del legislatore non è quello di calcolare il requisito patrimoniale sulla base dell'esercizio in cui la società ha realizzato qualsivoglia tipologia di attivo - siano essi crediti o investimenti patrimoniali - bensì di avere iscritto a bilancio un importo superiore al limite posto dalla legge, riferendosi, pertanto, all'intero patrimonio dell'impresa.
In particolare, in merito alla consistenza ed alla composizione dell'attivo patrimoniale, recente giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 22146 del 29 ottobre 2010) ha chiarito alcuni aspetti relativamente ai criteri di valutazione da adottare per le poste dell'attivo, stabilendo che il criterio di valutazione delle immobilizzazioni materiali deve essere il costo storico (al netto degli ammortamenti) e non il valore di mercato, lasciando quindi intendere che non rileva, ai fini del rispetto del requisito patrimoniale, il momento di iscrizione delle poste di bilancio, bensì la loro valutazione "attuale".
La norma è chiara anche per quanto riguarda il requisito sub b) - per il quale si può seguire lo stesso ragionamento di cui sopra - , in virtù del quale, per non essere assoggettato a fallimento, l'imprenditore non deve aver realizzato ricavi lordi - realizzati "in qualunque modo risulti" - superiori ad euro 200.000 per ciascuno dei tre gli esercizi precedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento, congiuntamente al rispetto delle soglie stabilite dai punti sub a) e sub c).
Naturalmente, con riferimento ai ricavi, il legislatore individua una soglia minima, superata la quale l'impresa si intende fallibile, determinabile anche in maniera extra contabile; ad esempio allorquando la soglia dei 200.000 euro sia raggiunta e/o superata in conseguenza di maggiori ricavi derivanti da accertamenti fiscali, quindi non "desumibili" dal bilancio d'esercizio e valorizzati in sede di istruttoria pre fallimentare.
(Marcello Pollio - IPSOA Editore - 28/04/2011)
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